Rocca alla Pace
LA PACE A SOMMOCOLONIA
Solace Wales parla del significato speciale a Sommocolonia della parola ‘pace.’
Come mai si chiamano: il parco/monumento alla pace e il museo della seconda guerra mondiale alla pace? Come mai l’intero sito, il campo ovale del castello mediovale, si chiama LA ROCCA ALLA PACE?
PACE, è una parola che piace a tutti, ma potrebbe sembrar strano “pace†in questo posto che ricorda una battaglia tragica. Ma è la parola che ho sentito spesso detta con commozione nelle testimonzianze che ho raccolto nei 25 anni di soggiorni passati a registrare i ricordi della guerra a Sommocolonia. Tra le storie di vite sconvolte dalla perdite morali e materiali, apparivano momenti di umanità ritrovata, come nella solidarietà e amicizia con i soldati afro-americani anche essi vittime, in primo piano sul fronte.
La stessa parola ‘pace’ appariva sempre nelle interviste che ho fatto anche ai soldati afro-americani, reduci della battaglia del 26 dicembre 1944. Pace, ad indicare il valore su cui si basa la convivenza di nazioni e di singole persone.
Nella battaglia di Sommocolonia, dopo la morte della maggioranza dei suoi compagni, un tenente afro-americano, John Fox, sacrificò la sua vita con un atto di eroismo supremo. Era nella torre della Rocca, circondato da un centinaio di tedeschi, quando chiamò la sua artiglieria da campo in postazione nella valle e fece una singolare richiesta: ordinò di dirigere il fuoco sulla sua postazione. Nonostante il suo atto eroico, che segnasse la sua morte, facesse tante vittime tra I nemici, le truppe dell’Asse presero il paese. I Sommocoloniesi dovettero sfollare tra i morti in quel rigido inverno.
Seguendo la storia della guerra nel paese, ho intervistato 33 italiani e 31 veterani (in più 4 membri della famiglia Fox) per un totale di più di 150 ore di registrazioni. In tante di queste interviste mi sono stupita della sagezza delle persone conquistata dalla dolorosa esperienza. Quando ho chiesto ai sommocolonesi un consiglio per i giovani, tanti mi hanno risposto che non potevano dare consiglio, ma solamente fare conoscere ai giovani questi avvenimenti in modo di farli riflettere che la guerra è un male e che certe situazione si possono ripresentare in nuova forma. Alcuni hanno aggiunto: “Bisogna sempre pensare in modo autonomo nelle nuove circostanze.†La loro saggezza era una sorpresa per me, ma non il messaggio di pace. Era più sorprendente che quasi tutti i veterani esprimessero lo stesso sentimento di condanna della guerra. I soldati intrepidi erano diventati pacifisti.
Penso a Antonio Mrakic (“lo Slavoâ€), un partigiano, che mi aveva descritto episodi davvero spaventosi, che richietevano coraggio ed audacia. La mattina del 26 dicembre, vedendo da Barga che si combatteva a Sommocolonia, caminò per la mulattiera per participare nella battaglia. . . Quando parlavo dell’idea d’includere tutti nel monumento a Sommocolonia, i civili, i partigiani, gli americani e gli austriaci, lui mi ha detto, “Sai, veramente dobbiamo includere anche i tedeschi.†(In quel momento, sbagliando, pensavo che quasi tutti coloro che attaccarono Sommocolonia fossero austriaci mentre lui sapeva che la maggioranza erano tedeschi.) A questa sua richiesta –cosi sentita– ho quasi pianto perché conoscevo quanto ha sofferto nelle mani dei tedeschi. Fu preso prigioniero al terrible assedio di Monte Cassino. Scappò ma più tardi fu preso una seconda volta dai tedeschi. Quando gli ho chiesto del momento della guerra più spaventoso per lui, ha risposto che durante il secondo periodo ch’era prigioniero, ogni sera la guardia tedesca giustiziava un prigioniero a caso. La sua paura era più intensa quando la sera sentiva avvincinarsi i passi della guardia.
Ho conosciuto Antonio quando era già in età avanzata e rifletteva con saggezza sul passato. Ma Berto Biondi, un compagno di armi nelle truppe di “Pippo†nella 11o Zona e, dopo la guerra, un compagno di lavoro alla fabbrica SMI, l’ha conosciuto bene da giovane ed l’ha sempre stimato. (Berto, ch’era il solo partigiano nativo di Sommocolonia, recentemente ha letto questo articolo e mi ha detto che lui era “completemente d’accordo†con il sequente che ha detto Antonio ed i veterani citati dopo.)
Alla fine dell’intervista, Antonio mi disse che non sopportava chi oggi non poteva vedere di buon occhio le persone di un altro colore “che siano rossi, gialli o neri.†Poi ha esclamato, “Ma voletevi bene questi pochi anni che vivete! Se n’è viste troppe. Ho visto i miei compagni [nei boschi] impiccati col filo di ferro. Fatela finita con tutte le guerre e fatela finita una volta per sempre!â€
Ho intervistato anche un veterano tedesco, Karl Schroeder, che era nella battaglia di Sommocolonia. (Dopo la guerra diventò lo storico per suo reparto.) Mi stupiva perché sulla guerra pensava in modo simile ad Antonio. Il mio contatto con lui fu epistolare, con le lettere tradotte in inglese, perché lui non sapeva né l’inglese né l’italiano, né io tantomeno il tedesco.
Il 29 giugno 2011 mi ha scritto:
“Naturalmente ho i suoi stessi sentimenti e sono contro la guerra. Oggi non capisco più come mai, incoraggiati dai nostri comandi, abbiamo combattuto uno verso l’altro cosi violentamente.
Negli anni del dopo guerra, ho fatto tanti viaggi ai siti dei nostri combattimenti [incluso Barga e Sommocolonia nel 1991] e ho incontrato tanti che prima erano nemici e tanti di questi sono diventati miei amici: americani, inglesi, canadesi, francesi, brasiliani, polacchi, russi.â€
Sono stati ricordati un partigiano e un tedesco che erano nella battaglia di Sommocolonia. In più c’è una lettera scritta da un veterano afro-americano che si trovò a Sommocolonia dopo la battaglia del 26 dicembre e che combatteva fra lì e Lama nel febbraio 1945. Questa lettera dovevo leggerla alla cerimonia dell’apertura della Rocca alla Pace il 16 luglio 2000 in presenza dei soldati della ‘Bufalo’ che vennero per l’occasione. Per motivi di tempo, purtroppo non mi fu permesso di leggerla, e oggi sento il dovere di farla conoscere.
La lettera fu scritta dal reduce Generale Maggiore James Hamlet, uno dei due afro-americani in servizio nella seconda guerra mondiale che ottenne un grado così elevato nell’esercito degli Stati Uniti d’America. Nella prima parte del 1945, comunque, era un sottotenente, e si sentiva di aver rimpiazzato il Tenente Fox a Sommocolonia. (Non fu letteralmente vero perché non era un “osservatore in avanti†come Fox.) Ma come Fox, ebbe la sua prima esperienza sul fronte nel paese. (Il Generale Hamlet ha avuto ampia esperienza di guerra anche in sequito, sia altrove in Italia, che nei diciasette mesi in Korea e nei tre anni in Vietnam.)
Quando ho intervistato il generale Hamlet, mi ha detto:
Arrivato a Sommocolonia, sentii raccontare dell’eroismo di Fox. Mi spaventai a morte. Non sapevo se sarei stato all’altezza del compito assegnatomi. Certo è, che ti da un parametro per tutta la vita. Ho imparato molte lezioni in Italia che mi hanno sostenuto per tutta la mia carriera. Non so quanti uomini farebbero quello ch ha fatto John: attirare il fuoco dell’artiglieria è terrificante, e lui l’aggiustava via, via, sempre più preciso, sempre più vicino. . . Io sono stato in tre guerre, e ho visto abbastanze battaglie da poter giudicare il carattere di un uomo, e John Fox era un uomo di enorme carattere e coraggio.
Nel 1982, il Generale Hamlet presentò a Arlene Fox la prima decorazione Americana a suo marito, cioè La Croce per Il Servizio Distinto. Questa è la seconda più alta Decorazione Militare.
Vorrei aggiungere a questo punto che la prima riconoscenza in assoluto al Tenente Fox, non è stata negli Stati Uniti, ma proprio a Sommocolonia. Nel 1979, il Prof. Umberto Sereni, allora Consigliere, fece mettere una lapide con il nome di John Fox insieme a quelle che commemorano i partigiani, nella Piazza dei Martiri della Resistenza. Era certamente notevole, che il nome di un Americano fosse messo su un monumento italiano. Il Console Generale Americano di Firenza era presente alla cerimonia.
Desidero premettere due estratti di una lettera personale che mi ha scritto e mi ha dato il permesso di publicare.:
Ho passato molti, molti giorni e notti a Sommocolonia. Ammiro tutt’ora le famiglie italiane che non hanno mai lasciato il fronte. Hanno condiviso le nostre razioni, il fuoco dell’artiglieria, e la nostra miseria. Hanno condiviso con noi le loro galline, ed il loro vino, che erano un’aggiunta molto ben venuta al nostro rancio. Prego che gli anni siano stati clementi coi i tuoi vicini a Sommocolonia.
Ti chiedo di spiegare la mia assenza alla Signora Arlene Fox, e a sua figlia. Il suo defunto marito, John Fox, è stato il mio eroe per cosi tanti anni. Il suo esempio cosi alto, di coraggio e devozione al dovere, nonostante il rischio, mi ha sostenuto in battaglia, sia in Italia, che in Korea e in Sud Vietnam. E`a Sommocolonia che ho imparato a ragionare con le mie paure. John Fox ha aiutato un ragazzo a diventare un uomo. Non l’ho mai incontrato, ma mi sembra di conoscerlo molto bene.
Questa è la lettera che il Generale Hamlet intendeva far leggere alla cerimonia:
Come disse un poeta, “Questo è un giorno donato da Dio. . .ed è bene che noi siamo qui, perché oggi siamo coinvolti in cose importanti.â€
Anni fá, il destino ha portato uomini coraggiosi a fare una battaglia su questo sito storico. Ognuno di questi uomini, Italiani, [Tedeschi], Austriaci e Americani, si sono sacrificati, nella stessa misura. Adesso che siamo più vecchi, e più saggi, e profondamente addolorati, onoriamo la memoria di quei caduti, quel giorno infausto del 1944.
In ugual misura rendiamo onore alle mogli ed ai figli di quegli uomini che hanno combattuto cosi valorosamente qui. Non diamo le medaglie al valore alle vedove che hanno dovuto allevare i loro figli privi del sostegno di un padre. Nessuna decorazione è dato a quei bambini feriti dalla perdita di un padre, e dall’assenza di un bacio della buon notte.
Quindi, torno a ripetere, “E` bene che noi siamo qui,†perché questo giorno siamo uniti nella Pace, che trascende la comprensione di chi non ha sofferto l’orrore, e le consequenze della guerra.
A questa fine, onoriamo i civili e i soldati che hanno consacrato questa terra sacra con il loro servizio. E noi, i sopravvissuti, dedichiamo le nostre vite al mantenimento della Pace con Dignità nel nostro tempo.
James Hamlet
Nell’anno 2000 abbiamo intitolato la Rocca di Sommocolonia ROCCA alla PACE con questa motivazione:
“Con il nuovo millennio, Sommocolonia, distrutta dal bombardamento e sede di una cruenta battaglia, intende presentare un monumento che ricorderà , nello spirito di riconciliazione dei popoli, tutti quelli che morirono nella battaglia.
Il Parco della Rocca alla Pace spingerà il visitatore a gustare la bellezza quasi commovente del luogo, con gli Appennini ad est e le Alpi Apuane ad ovest, che ha visto la perdita di tante, troppe giovani vite.
La Seconda Guerra Mondiale deve essere ormai un capitolo storico chiuso. Ma non va dimenticata, anzi, piuttosto ricordata in ogni suo particolare con compassione e con speranza di imprimere nelle future generazioni che la pace va sempre inseguita.
‘La Rocca alla Pace’ dovrà essere un faro che invia una preghiera per la pace nel mondo.â€
Nelle reunioni del comitato, non ricordo nessun accenno ad altri monumenti che includevano coloro che una volta erano nemici. Sembrava solamente che il nostro gruppo pensasse che era giusto ed era il momento per una cosa simile. Dopo tutto, com’è possibile trascendere la guerra se non si abbracciano tutti i lati?
Anni dopo ho fatto ricerche su internet e ho scoperto che c’erano altri simili monumenti. Cito solo due che mi hanno colpito in particolare:
—“The Peace Light Memorial†[Il Memoriale alla Luce della Pace] dedicato nel 1938 dal Franklin D Roosevelt sull’occasione del settantacinque anniversario della battaglia di Gettysburg. Era straordinario perché c’erano presenti veterani di tutte e due le parti, Union e Confederate, truppe opposte che lottavano nella guerra civile americana.
—“The Cornerstone of Peace†[La Pietra Angolare della Pace] sull’isola di Okinawa era dedicato nel 1995 per il cinquantesimo anniversario della battaglia di Okinawa e la fine della seconda guerra mondiale. Alla dedicazione i nomi di tutti che sono morti in quella battaglia numeravano 234,183 nomi incisi.
I motivi per cui questi monumenti includono tutti e sono intitolati “alla paceâ€, sono gli stessi dovunque si trovino:
1) Â ricordare i soldati ed i civili che hanno perduto la vita durante un conflitto
2) fare conoscere alle nuove generazioni la storia del posto e l’orrore di una guerra
3) usare questi luoghi di pace per far meditare e far riflettere sulla guerra e sulla pace
Che i numeri dei morti a Gettysburg ed a Okinawa siano molto superiori ai circa 125 morti di Sommocolonia non fa differenza nel messaggio che i monumenti trasmettono. Con la sua ROCCA ALLA PACE, la piccola Sommocolonia fa conoscere la sua triste storia di guerra e invia una preghiera luminosa e forte per la pace nel mondo.
Ringrazio tanto Marta Rossi per le sue correzioni del mio italiano.
Solace Wales
Per ulteriori informazioni:
Il museo alla pace di Sommocolonia quando sarà completato potrà fare parte del International Network of Museums for Peace (INMP, rete internazionale di musei alla pace), e non sarà un fenomino isolato ma farà parte di un movimento globale con connessioni mondiali.
Per ulteriori infomazione su INMP
http://peace.maripo.com/p_museums_by_type.htm
Sul sito c’e già un accenno del futuro Museo alla Pace di Sommocolonia — vedete la fine della pagina:
http://peace.maripo.com/x_italy.htm
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Edward Lollis è l’autore di Monumental Beauty: Peace Monuments and Museums Around the World [Bellezza Monumentale: Monumenti e Musei alla Pace in Tutto il Mondo] (publicato da ‘Peace Partners International‘ maggio 2013). Non tutti nel libro includono coloro che una volta erano nemici, ma tutti sono dedicati alla pace. Per più informazione:
http://www.peacepartnersintl.net